Moda italiana: la certificazione di filiera può salvare il Made in Italy
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Moda italiana: la certificazione di filiera può salvare il Made in Italy
Confartigianato Moda e CNA Federmoda sono favorevoli a una certificazione di filiera che sappia tutelare micro e piccole imprese, garantire equa remunerazione e rafforzare la reputazione del sistema moda italiano.
Il Made in Italy vive una fase cruciale. La credibilità del sistema produttivo è sotto pressione: delocalizzazioni mascherate, subfornitura irregolare e pratiche commerciali poco trasparenti minacciano il cuore manifatturiero del Paese.
Mentre il fast fashion impone ritmi e margini globali, le imprese artigiane della moda — custodi di competenze uniche — faticano a essere riconosciute e valorizzate. Restituire identità e valore ai prodotti italiani non si riduce a una scelta etica, ma deve assumere il DNA proprio di una strategia industriale per tutelare lavoro, comunità e territori.
La certificazione unica di conformità delle filiere della moda
Confartigianato Moda e CNA Federmoda sono favorevoli all’introduzione della Certificazione unica di conformità delle filiere della moda come strumento di legalità, trasparenza e tracciabilità.
Non deve ridursi a un nuovo ed ennesimo adempimento, ma tradursi in un patto di fiducia e trasparenza che rimetta al centro il valore umano e produttivo della moda italiana.
Dopo un lungo confronto con le istituzioni, le Associazioni sottolineano due principi irrinunciabili:
- il carattere volontario della certificazione, regolata da organismi di certificazione “accreditati”, per garantire indipendenza, competenza e uniformità di valutazione sulla base degli standard internazionali;
- la valorizzazione dell’intera filiera, non solo del marchio finale.
Le condizioni per una certificazione davvero utile
Per evitare che la certificazione si trasformi in mera burocrazia, occorre definire criteri chiari e concreti:
- Trasparenza reale sulla capacità produttiva e sui soggetti coinvolti.
- Tracciabilità completa delle fasi di lavorazione e dei rapporti contrattuali.
- Integrazione con gli audit già esistenti, per ridurre duplicazioni e costi.
- Ricorso agli organismi di certificazione, a garanzia di indipendenza e competenza.
- Equa remunerazione come condizione indispensabile di ogni filiera sana e legale.
La questione centrale è la giustizia contrattuale
Molti rapporti tra committenti e subfornitori si basano ancora su codici etici o capitolati non contrattualizzati, che lasciano spazio a squilibri e abusi.
È quindi urgente applicare pienamente la Legge 192/1998 sulla subfornitura, che tutela la parte più debole e impone corrispettivi chiari e pagamenti certi.
La legalità non può pesare solo sulle imprese artigiane: deve diventare responsabilità condivisa di tutta la filiera.
Stato, controlli e corresponsabilità
La certificazione può essere un argine contro la concorrenza sleale e l’illegalità, ma lo
Stato deve garantire
controlli mirati e coerenti.
Allo stesso tempo, i
capofiliera devono assumersi una
corresponsabilità concreta sulle condizioni economiche e organizzative imposte ai subfornitori. Solo così la legalità diventa reale e sostenibile.
Le proposte di Confartigianato Moda e CNA Federmoda
Perché la certificazione di filiera sia davvero uno strumento di giustizia e competitività, Confartigianato Moda e CNA Federmoda chiedono:
- Applicazione piena della Legge 192/1998, per garantire prezzi equi e tempi di pagamento certi.
- Corresponsabilità delle imprese capofila, chiamate a condividere oneri e benefici del percorso di certificazione.
- Criteri proporzionati per le PMI, con adempimenti graduati in base alla dimensione aziendale.
- Riconoscimento delle certificazioni esistenti, per evitare duplicazioni e valorizzare le esperienze già in corso.
- Premialità per i committenti virtuosi, con semplificazioni e incentivi per chi pratica prezzi equi.
- Tavolo tecnico permanente con le associazioni di categoria, per un modello di certificazione condiviso, utile e in costante evoluzione.














